Gino Carbonaro

Ricordo la mia prima impressione quando l’amico Scribano, mi mostrò i lavori di Giovanni ludice. Sapevo che mi sarei trovato davanti ad un disegnatore molto abile, ma rimasi incredulo al primo impatto con le sue opere. Quei lavori erano talmente simili a fotografie, che non riuscivo a credere che fossero disegni.
Chiarito l’equivoco, mi resi conto che si trattava di lavori eccezionali, non tanto per l’abilità tecnica dell’artista, ma per la forza serena che li dominava, per la bellezza intrinseca delle forme, e soprattutto per i messaggi in essi contenuti . Il linguaggio e la tecnica sono fondamentali per la realizzazione dell’opera, ma sono pur sempre mezzi di cui l’artista si serve per far conoscere agli altri suo mondo. Elogiare la capacità tecnica, non serve per definire l’opera e la personalità dell’artista.
A queste opere bisogna accostarsi serenamente, senza lasciarsi influenzare neppure dalla qualità dei soggetti, che sembrano attinti al repertorio di album di famiglia. Un uomo nudo nella vasca da bagno; ragazzini che smettono di giocare per farsi riprendere in gruppo; un giorno di festa trascorso da una famiglia ai bordi di un fiume, sono soggetti che ludice strappa al consueto quotidiano per farli protagonisti delle sue attenzioni, per utilizzarli ai fini del discorso che intende fare.
ludice parte da una realtà oggettiva, ma di fatto la trasfigura al tocco della matita, calandola in una atmosfera dove il tempo sembra essersi fermato
Uomini ed eventi si trasformano subito in immagini rubate al tempo, sovrani in un mondo di pace e di silenzio. Il realismo è solo apparente. In questo mondo sognato, ogni soggetto vive per sé: isolato dagli altri, non comunica, non ha niente da dire. Di fatto, nelle opere di ludice, sia gli uomini che le cose sembrano vivere fuori dalla realtà, noncuranti del mondo che li circonda.
Cosi, utilizzando il primo e il più elementare linguaggio, quello della fotografia e delle immagini, ludice riprende la realtà così come gli appare, senza veli, senza filtri, senza nostalgie del passato, senza speranze di futuro. Ma propone subito una equazione incontrovertibile: realtà è la vita; la vita è nel tempo; e il tempo è il vero padrone della vita. Ora ludice prova a bloccare il tempo, a fissare l’attimo fuggente fra l’ieri che non c’è più e il domani che non c’è ancora, e ci invita a riflettere. Si delinea così una indefinibile filosofia della vita. Il codice è fatto di immagini che la mente concettualizza.
Emergono da qui le grandi categorie della vita: spazio-tempo-immagine, cui va ancora aggiunto il dolore, la mancanza di speranza, il mistero delle cose.
Se la realtà è vita, la vita è sostanzialmente immagine, pellicola che emerge dal nulla, sfumatura di bianco e di nero che le luci e le ombre rilevano. Di fatto un nulla che è solitudine, e qualche volta, squallore. Tanto si legge nelle opere.
Quella donna nuda, seduta, immobile, che fissa senza pensieri gli occhi di chi la riprende, dice tutto del suo esistere e del tempo, e delle sue speranze e dei suoi valori. Ma soprattutto ci dice che la vita è immagine che può essere resa eterna nella foto-disegno; pellicola di toni che cercano di beffare il tempo. Il resto non ha senso.
Quell’uomo nudo nella vasca da bagno ha pure fermato il tempo. E’ un uomo che non guarda, non pensa, non parla. Non dice niente, perché non c’è niente da dire, in questa vita. Cullato dal tempo, si gode il suo tempo. Le parole sono fiato di voce e l’immagine è evanescente, pellicola, si è detto, non dissimile da quella che ricopre la carta fotografica.
Nelle opere di ludice tutto è livellato ad un comune denominatore: la macchinetta del caffè, la bottiglia, il pavimento, i tubi contorti su un muro di lebbra, gli uomini, le donne, gli atti. Tutto è posa, tutto è attesa, tutto è immagine nel segno della filosofia e dell’arte. Il tempo non esiste, la morte è un evento, tutto passa e ludice coglie l’attimo fuggente che qui, nelle sue opere, nessuno riesce a vivere, a carpire, a capire. Cosi la periferia si fa centro e le cose abbandonate in una sorta di crepuscolo degli Dei, vengono sottratte al tempo che li divora. Bloccati nell’attimo, uomini e cose vivono finalmente da protagonisti, soggetti privilegiati e centrali della foto ricordo che immortala l’evento. Cosi, il particolare che tutti trascurano diventa importantissimo. Protagonista è il punto geometrico, spaziale o temporale poco importa, perché la traccia che lascia il segno della matita, diventa la parte che sostiene il tutto Conferma dell’esistere e prova dell’essere esistito è data dal ritratto, dalla immagine. L’immagine è documento di vita e di morte. Le cose esistono perché è dimostrato che esistono: dalla fotografia, dall’immagine, dal disegno.
Non avvicino ludice a Pirandello, né voglio ricordare Beckett di aspettando Godot, che non arriva, ma è evidente che il protagonista dell’opera è il tempo, anzi l’attimo colto, per essere rubato al tempo e consegnato all’eternità o all’immortalità che è lo stesso. Attimo che realizza il paradosso. Perché, mentre lo blocchi lasciandolo identico a se stesso, in realtà lo dilati all’infinito, rendendolo grottescamente identico a se stesso, immutabile, eterno. Cosi il senso dell’esistere è un non-esistere, l’individuo sta con ali altri, ma è solo, la vita è vuota, e il senso squallido delle cose è un non-senso, perché il movimento si congela, mentre l’attimo si espande all’infinito.
I colori sono due il bianco e il nero, l’essere e il non-essere, sui quali incombe silenziosa l’ombra della morte: l’essere in bilico fra la vita e la morte, categorie che non mancano di attraversare l’animo dell’artista.
Paradossalmente, questo giovane artista gelese, parte da quella realtà dalla quale altri artisti prendono sdegnosamente le distanze, per spingersi al di là, alla ricerca di rapporti, armonie e contenuti che spesso sfuggono alla ragione.
ludice è un pittore dell’esistenza. Artista che ha come oggetto di ricerca l’esistente: il senso dell’esistere, l’essere nel tempo, l’essere affiancato dal nulla. Per questo, i disegni di ludice si collocano in una sorta di iper-realismo, proprio perché le sue opere vanno al di là (xpér) del primo livello di lettura della realtà.

dal catalogo Giovanni Iudice
Galleria Studio Nuova Figurazione, Ragusa 1996