Elisabetta Sgarbi

Una presenza costante

Giovanni Iudice nasce e vive a Gela. Sulla spiaggia di Gela arrivano i barconi tracimanti di persone che lasciano la propria casa nella speranza di una nuova vita. Questi sbarchi, arrivi, morti non possiamo lasciarli alla cronaca. Devono diventare storia. Il loro dolore, il loro rischio, la loro nostalgia devono diventare storia, nel senso che il loro destino deve incarnarsi e intrecciarsi nel nostro destino. La storia ha questo respiro più ampio della cronaca, che invece tende a spegnersi con la cronaca del giorno dopo. La storia si rinnova conservandosi, la storia diventa memoria collettiva che si tramanda silenziosamente di anima in anima, diventa carne e sangue, come il Principe danese di Rilke pretende per l’aspirante poeta, prima che questi scriva la prima parola del primo verso.
Il salto che Giovanni Iudice chiede agli eventi di cui è spettatore quotidiano, e il salto che chiede a se stesso, è di trasformare quegli eventi, quei fatti quotidiani, da deboli frammenti di cronaca in storia.
Ouesta trasformazione è un procedimento complesso che, per ludice, transita nello strumento principe della cronaca: la fotografia. E persino attraverso il procedimento più ambiguo della fotografia che è il fotomontaggio (Sbarco a Lampedusa, 2007). In questo confronto Iudice rivela – al di là di un pur esplicito richiamo alla pittura classica figurativa – il suo caratte re prettamente contemporaneo
Nelle sue istantanee pittoriche, Iudice conserva l’attimo fata le della fotografia, il punctum, ma lo sottrae, nello stesso tempo. alla sua immobilità nel tempo. La forza del suo segno pittorico, il colore o la matita irrorano le linee e le forme fotografiche dando loro nuova vita, e una vita che non ci guarda dal passato immoto ma da un costante presente. L’arte non è eterna, come spesso si dice: semmai è sempre presente, resiste al farsi
“passato”, ci guarda sempre dal e nel qui e ora. Gli occhi degli sbarcati di Iudice ci guarderanno sempre, perché sono gli occhi della disperazione e della fatica. Non c’è più nulla dell’orgoglio operaio di Pelizza da Volpedo o di quello contadino di Gorni.
C’è il freddo e la fragilità (Senza titolo-Clandestini, 2008); lo spaesamento (Ospedale, 2011); c’è la fame atavica, animale di chi non può mangiare e guarda il cibo già consumato (Natura morta con piatto e osso, 2010); c’è l’attesa massificata e inumana (Sbarco a Lampedusa, 2007); c’è la paura (Clandestini, 2007). Ci sono insomma, nei lavori di Iudice stati essenziali della umanità sfinita e senza cielo. E poco importa, qui, se il cielo assente sia quello di Dio o quello tutto orizzontale del Sol dell’Avvenire. Gli orizzonti di questi uomini e donne sono raccorciati: gli occhi sono bassi, implorano la vita, incapaci di vedere spazi più ampi, anche qualora ci fossero. Non c’è speranza, perché è occlusa dalla paura e dal bisogno.
Ouesta “presenza costante” raggiunta dall’opera di Iudice è raggiunta anche attraverso l’utilizzo della materia viva (e morta) dello sbarco. Il carattere figurativo della pittura di ludice incontra, in questo caso, la forza bruta e sorda delle cose sbattute sulle coste italiane. Iudice le raccoglie fisicamente dal “suo” mare perché esse non sono solo cose, sono cose cariche di umanità, sono espressioni significative di un mondo che il pittore intende restituire. E su questa materia Iudice lavora, portandola in primo piano.
La Fondazione Elisabetta Sgarbi conserva uno sbarco, matita su carta su lamiera. La mostra espone due straordinarie opere siffatte: Clandestini, 2006-2007, su vetroresina e Famiglia clandestina. 2007, olio su tavola di ferro.
La materia resiste alla cronaca, trasforma il brulichio dei fatti in significato storici che continuano a interrogarci.
Ma, si sa, tutte queste sono parole sempre al di sotto dell’opera e della forza pittorica che esse sprigionano. La qualità di Iudice che sorprese e motivò Giuseppe lannaccone a farsi suo collezionista e mecenate – sta, ora come allora, difronte allo spettatore. La Milanesiana, grazie a Giuseppe lannaccone che è proprietario di quasi tutte le opere esposte quest’anno come tempo fa il mio cinema – tentano di darne testimonianza e risalto.

dal catalogo Il Rumore del Mare, per Milanesiana,
Palazzo Medici-Riccardi, Firenze. 2017